lunedì 19 dicembre 2011

Mi sposo o aspetto ancora un po'?





È vero, in Giappone ci si sposa sempre più tardi. E questo è soprattutto vero per le aree urbane dove i dati ci mostrano un realtà di single in aumento. Nel 2005 il 33% delle donne in età compresa tra i 35 e i 39 anni e il 12% degli uomini in età compresa tra i 40 e i 44 erano single. E se per noi europei questi dati non appaiono poi così sconvolgenti bisogna ricordarsi che in Giappone fino a non più di un paio di decadi fa la situazione appariva completamente diversa. L’età media per il matrimonio si aggirava attorno ai 22 anni (praticamente subito dopo la fine degli studi) e il numero di single ultratrentenni era del tutto irrisorio. Cosa è successo nel frattempo? I Giapponesi hanno scopeto che si sta bene da single? Che il matrimonio porta guai? Non proprio.

Secondo un sondaggio del 2005 il 90% delle donne intervistate in età compresa tra i 18 e I 34 anni dichiara di volersi sposare presto. L’idea è che le donne giapponesi desiderino sposarsi ma qualcosa le ostacoli. Che succede?

Tutto comincia negli anni 90’. E precisamente dopo la crisi economica del 1991, data importante che segna una rottura decisiva nella storia del Giappone contemporaneo. La crisi del 91’ infrange innanzitutto un mito, quello della crescita. Il Giappone non sarà più lo stesso soprattutto per gli stessi giapponesi – una sorta di trauma psicologico nazionale. Ma le conseguenze si fanno vedere anche nei fatti: stipendi stagnanti, disoccupazione e – cosa più importante per quest’analisi – l’ingresso delle donne nella forza lavoro.

Dal dopoguerra fino agli anni 90’ il modello di famiglia cittadina è pressoché costituito da un salaryman stipendiato che lavora tutto il giorno, una moglie mamma e casalinga, un paio di pargoletti. Dagli anni 90’ in poi tuttavia questo modello di famiglia si rivela sempre più insostenibile. Il problema è chiaro: gli stipendi sono semplicemente insufficienti a mantenere un’intera famiglia.

Cosa succede? Finalmente anche le donne, finora segregate al ruolo di mamme-massaie, intraprendono il loro processo di emancipazione. Amen. 
E così fu; negli ultimi vent’anni il numero di donne lavoratrici è cresciuto sensibilmente guadagnando alle donne – oltre ai soldi – una maggiore indipendenza e dignità.
Primo effetto: le donne sono più indipendenti, non hanno bisogno di un marito come fonte di reddito. Il matrimonio non è più una necessita. 楽しみましょう!

Eppure questa spiegazione non rende conto di tutte quelle donne lavoratrici che vorrebbero comunque sposarsi e non lo fanno. Perché? La risposta giace nelle credenze idiote del Giappone (contemporaneo). L’idea è la seguente: una donna ha il dovere di sposarsi e avere figli ai quali una volta sposata dovrà dedicarsi totalmente, marito incluso (che di fatto diventa poi un vero e proprio figlio). Non ci sarà tempo per un altro lavoro. Se hai anche un Lavoro vuol dire che sei una pessima madre, una pessima moglie e probabilmente una pessima lavoratrice. だめ!
Ma se questa fosse solo la convinzione di qualche vecchio conservatore non ci sarebbero problemi. Il problema invece è che questa è davvero la mentalità diffusa in Giappone, in particolare in ambiente corporativo (anche nelle grandi città, luoghi dove in teoria dovrebbe aleggiare un’atmosfera un po’ più progressista. …ma d'altronde si sa, il Giappone rimane un'isola!).

Le donne non si sposano perché nella maggior parte dei casi ciò comporterebbe la perdita del proprio impiego. Come? Semplice; nella tradizione più squisitamente nipponica del “licenziamento suggerito” una donna che si sposa (o che rimane incinta che è poi la stessa cosa come spiegherò) sarà gentilmente invitata a lasciare il proprio lavoro. Che fare dunque? Mi sposo o spetto ancora un po’?

Ma attenzione, perché aspettare troppo a lungo porterebbe rivelarsi pericoloso. Sì perché alla soglie dei trent’anni per una donna nubile avviene la trasformazione. Come i sayan si trasformano in enormi scimmioni nelle notti di luna piena, così le donne giapponesi si trasformano in makeinu (負け犬)
Ebbene sì, letteralmente dei "cani perdenti". Perdenti perché non hanno saputo accasarsi, perdenti perché non hanno ancora contribuito alla società dando alla luce dei figli. Perché in Giappone la procreazione è davvero considerata un valore civico. Chi non sforna bambini non sta facendo il suo dovere nei confronti del paese. Una trasformazione totale insomma; una nuova pelle sociale, un nuovo marchio al pari di un nuovo sesso.

Questa mentalità è stata promossa a tutti i livelli e più che mai da quando il paese ha problemi di bassi tassi di fertilità. In Giappone vale la seguente equazione: matrimonio = figli. Le due cose sono quasi indistinguibili; un matrimonio senza figli è semplicemente okashii.

E chi non si sposa, chi non figlia, è un irresponsabile. A questo riguardo segnalo un libro (più che altro un manifesto!) molto famoso e discusso in Giappone: Onibaba-ka suru Onna-tachi ("donne che diventano vecchi demoni"…wow!). Questo manifesto della “vera donna” è stato scritto (incredibile!) da un’illuminata professoressa dello Tsuda College. 
Miss. Misago Chizuru è assai dettagliata nel ricordare alle donne giapponesi i loro doveri. Ci racconta di come per le donne la possibilità di avere figli sia da considerare “un dono” e di come le donne che rifiutano il loro dovere debbano essere etichettate per ciò che sono: persone egoiste e immature. Dei veri e propri makeinu insomma.

E non è così facile dire “me ne frego”. C’è chi lo fa in questo e altri contesti, ma di fatto in questo paese il peso della stigma sociale è opprimente e si fa sentire con una forza per noi difficilmente comprensibile. Il sistema è ineludibile, non si sfugge alla macchina!

Parlando di matrimoni non bisogna poi dimenticarsi dei doveri “secondari” della sposa: la cura degli anziani. E non dei propri genitori (cosa che magari uno si sente di fare se non altro per riconoscenza!), ma di quelli del marito. Una postilla contrattuale da non sottovalutare soprattutto considerato il fattore suocera.

E poi ci sono ovviamente gli uomini. I nostri poveri, ora davvero poveri, salaryman. Oggi giorno è dura trovare un buon lavoro, il vecchio impiego vitalizio è una bestia rara di questi tempi e il giapponese medio si guarda bene dallo sposarsi prima di aver trovato la propria stabilità finanziaria. Stabilità che, per inciso, significa avere abbastanza soldi per mantenere figli e moglie a casa. L’uomo è quello che porta a casa il cash. Se non hai il cash non sei un vero uomo. Parola di samurai del ventunesimo secolo.

I Giappi sono insomma inguaiati. Molti ci hanno rinunciato, hanno persino detto di no all’impiego a vita e alla fedeltà aziendale e si sono fatti フリーター a vita. Ma chi ripopolerà il nostro nippon? E chi manterrà viva la tradizione di sposalizi standard?

In attesa di risposte io aspetto ancora un po’.

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