Ebbene sì, non siamo noi
il paese più vecchio. E qui non si parla di geologia ma di vecchi – di anziani,
per essere politically correct. Il Giappone ci batte su
tutta la linea. Con una popolazione di 127milioni di abitanti (vs i 60qualcosa dell’Italia)
e una percentuale del 22.6% di over 65, il paese del sol levante può a buon
diritto definirsi uno dei più grandi covi di vecchiacci su scala planetaria.
I Giappi, si sa, mangiano
bene (almeno i vecchi). Poco olio, poca pasta, poco sale. E il loro regime
alimentare, insieme a un sistema sanitario efficiente, garantisce aspettative
di vita record: dati aggiornati al 2010, 85.8 anni per le donne e 79.4 per gli
uomini.
E allora? Questo è un
trend diffuso anche in Europa e in generale in tutti i cosiddetti “paesi
sviluppati”. Non proprio. Perché in Giappone, a partire dagli anni del boom
economico, la struttura sociale e familiare è stata rivoluzionata a tal punto
che il paese si trova oggi del tutto impreparato ad affrontare le copiose orde
di grinzosi nonnetti.
Ma dove sono tutti gli
anziani? A Tokyo non se ne vedono poi tanti. A Osaka e Kobe neppure. Dove si
rifugiano questi succhia tasse, questi cospiratori demografici? La risposta è
semplice: inaka. Inaka (田舎) in Giapponese significa letteralmente campagna. Ma qui
il significato di campagna è un tantino diverso. Per farsene un’idea basta
osservare l’immagine qui sotto.

In Giappone sulle
montagne non si vive. Perché ci sono gli spiriti (giuro). In città ci stanno i
2/3 della popolazione, tutta bella compressa. E nel resto del paese, in quegli splendidi
paesaggi fatti di fior di ciliegio, vette innevate e scogliere sull’oceano,
proprio laggiù si rifugiano i nonni del sol levante. I giovani sono davvero
giovani, bambini per lo più. I ragazzi invece…beh, quelli appena possono se ne
vanno. O sarebbe meglio dire che fuggono urlando. Sì, perché in queste città
fantasma popolate da anziani per un ragazzo la vita si fa dura. Posso
testimoniare di almeno tre amici americani che vennero spediti by Jet Program
in alcune di queste lande della desolazione e in meno di un mese si ritrovarono
vittime di fenomeni quali depressione acuta – e – bisogno di civiltà.
Come si pagheranno tutte
queste pensioni? Come verrà garantita la crescita economica in un contesto di
decrescita demografica? Chi lavorerà visto che in Giappone non ci si vuole
affidare all’immigrazione per mantenere la razza pura?
Ma queste sono domande da
economisti. E magari ne parlerò in qualche altro post ma quello di cui vorrei
discutere oggi è un altro tema – ovvero – come sono percepiti e accuditi gli
anziani in Giappone? In che modo gli sconvolgimenti del sistema familiare hanno
reso insostenibile il sostegno domestico degli anziani a favore delle
cosiddette case di riposo?
Torniamo al boom
economico. Sono gli anni sessanta. Il Grande Giappone (大日本) è
inarrestabile. Le città crescono, gli stipendi pure. I Giappi sono potenti, il
mondo li rispetta e li teme. Nasce un modello di lavoratore urbano. Un nome
destinato a diventare simbolo dell’intero paese. Il mitico, mistico salaryman (サラリーマン).
L’uomo del salario. Il colletto bianco, l’impiegato, il kaishyain. In una
parola il Giappo tipo. Se c’è uno stereotipo totalmente assodato
nell’immaginario collettivo per quanto riguarda il Giappone, quello è di certo
il salaryman. Giacca, cravatta dal nodo impeccabile, camicia bianchissima.
Occhio vitreo, capelli ormai brizzolati a trent’anni. Se ne sta nel treno,
solitario, in piedi appeso, compresso o seduto, non importa. Sta dormendo. Sì
perché sono le otto di sera è lui è sveglio dalle cinque di questa mattina. Una
vita dura. Una vita di sacrifici. Ma non importa. Perché il paese è forte. La
compagnia cresce. E il dovere di un uomo non è verso la propria famiglia (ma
figuriamoci), ma verso la propria azienda e il proprio paese.
Il salaryman di fatto non
è il giapponese tipo. Se per tipo=tipico si intende quello più diffuso in
numero, bisogna ammettere che il giapponese tipo è (sorpresa) un vecchio o un
colletto blu di una città medio piccola in qualche prefettura dell’honshu. Ma
tipico o no, il salaryman di fatto una rivoluzione l’ha portata a termie. Ha
creato un mito. Il mito dello stipendio che s’invola, il mito del lavoratore
urbano, il cittadino per antonomasia. E ha inoltre creato uno spostamento 1) di
gente, dalla periferia alla città 2) del modello di famiglia, da patriarcale a
nucleare (che non vuol dire esplosiva).
La vecchia famiglia patriarcale
è basata sul cosiddetto "ie (家) system". Un complesso groviglio di relazioni di
dipendenza, fedeltà, vincoli, eredità e alleanze. Al di là della complessità
per ciò che concerne matrimoni, discendenze e lignaggi, ciò che rendeva il
sistema tradizionale sostenibile e riproducibile per la terza età era la sua
imprescindibilità. La moglie del primogenito maschio, la yome, era destinata ad
ereditare il nome della famiglia ospite e al tempo stesso il fardello dei
genitori del marito. La yome era responsabile delle loro cure fino alla loro
morte, momento nel quale sarebbe finalmente diventata capofamiglia a tutti gli
effetti (sempre all’ombra del marito ovviamente, ma comunque una presenza assai
meno opprimente del dominio dei vecchi).
Oggi le cose si complicano.
Il primogenito maschio è generalmente anche l’unicogenito e lo stesso vale per
la consorte, che certamente non potrà essere responsabile sia per i propri
genitori che per quelli del marito. Eppure queste sono le aspettative. E le
donne allora che fanno? Semplice, non si sposano più. Nelle aree urbane l’età
media per il matrimonio si aggira su i 32 anni per le donne e i 34 anni per gli
uomini mentre nelle aree rurali è anticipata di almeno una decade. Ovviamente
questa non è la sola ragione per matrimoni ritardati in città, ma di certo dal
punto di vista delle sofisticate donne urbane il matrimonio perde una discreta
parte della sua appetibilità. Il Giappone si sa, è un paese sessista. E cioè un
paese dove le discriminazioni tra uomo e donna persistono imperterrite pure
peggio che da noi. E la cura degli anziani non fa eccezione; le stime indicano
che ad oggi, circa l’ottanta percento di questi lavori è effettuato da donne.
Al di là del nuovo
modello di famiglia urbana introdotto dagli anni sessanta, un grosso problema è
inoltre rappresentato dalla rinnovata idea di vicinato. In Giappone, anche
nelle città, il vicinato ha da sempre occupato un ruolo chiave per quanto
riguarda l’educazione dei bambini, il supporto agli anziani, la sicurezza ecc.
Oggi non più. I valori individualistici moderni hanno pressoché annullato il
ruolo giocato dal vicinato e l’anziano è ora considerato non più parte della
comunità, ma fardello privato della famiglia.
Chi sono i vecchi oggi?
Emarginati, residuali alla vita, una terza età, di fatto un terzo mondo.
Nascosti perché imbarazzanti i vecchi stessi hanno imparato a vergognarsi di sé
stessi e, almeno in Giappone, a nutrire sempre meno speranze di poter spendere
gli ultimi anni delle loro vite con i propri cari. Il vecchio samurai non vuole
essere compatito, non vuole essere di peso. Meglio sparire, celato in qualche
casa di riposo magari accudito da un super evangelion.
In Giapponese c’è un
termine per indicare quella terribile esperienza che è la cura di un anziano da
parte di un figlio unico: kaigojigoku (介護地獄), ovvero "l’inferno della cura dei vecchi". I casi di
violenza su anziani sono andati crescendo costantemente negli ultimi decenni proprio
per l’impossibilità da parte di individui soli di affrontare situazioni di
questo tipo. E ciò è comprensibile. Quando scompare la famiglia allargata e poi
scompare anche il sociale, la vecchia non può che apparire a tutti come un vero
e proprio inferno. Il Governo Giapponese, per porre un freno al problema, ha
persino approvato una legge per prevenire gli abusi, la “Law for the Prevention
of Elderly Abuse and Support” del 2005. Neanche a dirlo, il problema non si
risolve a colpi di leggi perché le sue radici sono altrove, e cioè nella
struttura sociale.
Di pensioni non parlo
neanche. Tanto si sa che non va mai bene niente.
Di robot per vecchi
invece parlerò più approfonditamente perché si dà il caso che questo sia tra i
miei soggetti preferiti nonché progetto di tesi di laurea^^
Concludo con un aneddoto.
Nell’antico giappone cosa si faceva coi vecchi? Di certo erano più rispettati
di oggi. Anzi, erano di fatto la saggezza incarnata. Basta guardare un film di
Kurosawa per farsi un’idea del ruolo comunitario giocato degli anziani, i
capivillaggio. Ma cosa accadeva quando il vecchio iniziava a perdere qualche
rotella? Una volta si viveva di meno ma casi di demenza senile non erano del
tutto assenti. Beh, la soluzione è pratica quanto barbara. Il nonno veniva
portato nel bosco, veniva scavata una buca abbastanza profonda perché non
potesse uscirne, e veniva abbandonato lì con un po’ di sake e qualche onigiri. Sayonara ojiisan!