sabato 23 giugno 2012

Chi sono i Giapponesi?




Chi sono i Giapponesi? Domanda mal posta. Come si riconoscono, come si vedono i Giapponesi? Fase dello specchio. Identità nazionali, identità culturali, identità in generale…

L'idea di cultura giapponese non può essere esaminata separatamente dall'importante nozione di nihonjinron, il cosiddetto “discorso sulla giapponesità”. Organizzato come base teorica del nazionalismo imperiale durante il periodo Meiji, a partire dal secondo dopoguerra il nihonjinron si trasforma in un tentativo di giustificare l'unicità della cultura giapponese di fronte alla crisi della modernità e della globalizzazione. Come ogni grande narrativa che si rispetti, il nihonjinron incorpora elementi che vanno da una presunta origine divina della stirpe all'omogeneità etnica dei Giapponesi, dall'esistenza di una lingua e strutture di pensiero uniche all'esistenza di una mentalità e una filosofia puramente giapponesi ecc. Purezza, unicità, omogeneità: parole d’ordine di un discorso che mira a definire l’identità di una nazione quando chiaramente sono piuttosto attributi quali varietà e complessità a caratterizzare ogni popolo.

È importante sottolineare che il nihonjinron non costituisce un fatto marginale nel Giappone contemporaneo. Lungi dal rappresentare una favoletta promossa da un pugno di accademici e nazionalisti, il discorso sull'unicità razziale e culturale del Giappone ha radici profonde nelle istituzioni del paese. Anderson (1983: ma chi è?^^) lo definisce come un “systematic, even Machiavellian, instilling of nationalist ideology through the mass media, the educational system, administrative regulations, and so forth.” Il potente Ministero dell'Educazione riveste in questo senso un ruolo fondamentale: tra i vari esempi, ancora una volta eredità del periodo Meiji, la tendenza del Giappone ad imporre un curriculum scolastico unificato su tutto il territorio nazionale (vedi famosa storia dei libri di testo obbligatori). Un esempio di Giappone standard promosso da libri di testo standardizzati è quello prettamente geografico, il Giappone delle quattro stagioni: una primavera di ciliegi in fiore, l’afosa estate con cicaleccio in sottofondo, l’autunno dai mille colori, e un freddo inverno innevato…magari alle terme. Queste immagini, così tipiche soprattutto per noi gaijin, sono di fatto faziose. Faziose perché raccontano un solo Giappone, quello che grossomodo si estende dal Kansai al Kanto, dove da secoli risiede il potere e ciò che ne consegue. Mentre la fioritura dei ciliegi dovrebbe “tipicamente” avvenire alla fine di Marzo (o per lo meno così ai bambini è insegnato ovunque), a Okinawa avviene invece a Gennaio e in Hokkaido in Maggio. Allo stesso modo l’estate afosa è sconosciuta in Hokkaido così come i rigidi inverni in Kyushu.

A parte le sottigliezze longitudinali, il discorso sulla giapponesità si estende ben al di là della narrativa e comprende le seguenti idee/miti:

1) Il Giappone è una nazione etnicamente omogenea. Quest’idea è facilmente confutabile considerando non solo il fatto che l’arcipelago venne popolato da diverse gruppi etnici in diverse fasi migratorie, ma anche che nel recente passato un numero considerevole di migranti da Cina e Korea hanno contribuito a rendere il paese molto più multietnico di quanto si creda. Tutto questo senza contare il fatto che gli abitanti di Okinawa o gli Ainu in Hokkaido (appartenenti di fatto a differenti ceppi etnici) si riconoscono solo parzialmente come "Giapponesi".

2) Il Giappone è una nazione socialmente omogenea. L’idea di Giappone come middle-class society è in realtà entrata in crisi sin dagli anni 90’ quando una serie di studi e pubblicazioni mise in luce il fatto che socialmente il paese non era solo più variegato del previsto, ma che l’iniqua ridistribuzione della ricchezza era giunta a un livello tale da guadagnare al paese il nuovo appellativo di kakusa shakai, la società divisa. La divisione non è solo visibile in termini di genere, ma anche a livello generazionale e geografico (e.g. l’enorme divario economico tra aree rurali e aree urbane).

3) Il Giappone ha una sua cultura omogenea e specifica. Quella culturale resta come sempre l’ipotesi più interessante e al tempo stesso la più difficile da trattare. Definita in termini generali, cultura è un termine ambiguo che può includere simboli, artefatti, pratiche, rituali e valori. Data la natura terminologica molto vaga, cultura appare in definitiva come uno strumento di analisi quasi inutilizzabile. La verità è che non esistono culture “pure”. Ogni cultura è sempre il risultato di influssi esterni e conseguenti adattamenti. Quella che oggi viene chiamata con enfasi globalizzazione è di fatto un processo che esiste da sempre (con la differenza che le cose andavano un po’ più a rilento). In Italia, dove la cucina è unanimemente considerata parte integrante della cultura, ingredienti quali pomodori, patate e caffè (tutti ingredienti alla base della cucina “italiana”) provengono dall’America e non furono introdotti in Europa prima del XVII secolo.

Primo punto: non esistono culture pure, ma solo ibridi. Nel caso del Giappone si consideri ad esempio l’importanza dell’influsso Cinese fino almeno a metà del VI secolo: buddismo, strutture politiche, arte, architettura, sistema di scrittura... Lo stesso si dica per l’influenza Occidentale a partire dal periodo Meiji fino ai giorni nostri. Il Giappone giustificò allora “l’invasione culturale” dell’Occidente con il motto wakon yōsai, “tecnologia occidentale, spirito giapponese”, ancora una volta il tentativo di predicare la giapponesità di fronte a un colossale processo di assimilazione di tecnologia e modelli istituzionali stranieri. Tutto ciò non significa d’altro canto che lo spirito giapponese non possa in qualche modo esistere. Ogni forma di assimilazione è sempre infatti adattamento e traduzione. La globalizzazione, a dispetto delle varie tesi tipo imperialismo culturale in voga negli anni 60’ e 70’, è sempre e comunque glocalizzazione. MacDonald docet.

Secondo punto: non esistono culture omogenee (di certo non su vasti territori). Il Giappone, al pari di molte altre nazioni, presenta notevoli differenze a seconda del contesto geografico (tra diverse regioni o persino città) che vanno dalla lingua alla gastronomia, dalle pratiche religiose ai più discutibili “tratti comportamentali” ecc.

Ma in tutta questa varietà resta almeno qualche elemento in comune? Pur rifiutando “purezza” e “omogeneità” come caratteristiche di una qualsiasi cultura, resta il fatto che di cultura è comunque ancora possibile parlare. Sarebbe d'altronde eccessivo portare questo discorso alle estreme conseguenze e concludere che il Giappone non è altro che un’unità geografico-politica (tra l’altro messa in dubbio dalle continue diatribe territoriali con i vicini asiatici!). Ammettendo l’esistenza di alcuni tratti culturali che, su varia scala, caratterizzano gli abitanti del Giappone, come fare a rintracciarli?

Chiedendo ad un Giapponese che cosa sia Cultura Giapponese, ciò che più stupisce è probabilmente la prontezza della risposta. Ecco che comincia la lista: cerimonia del te, ikebana, kabuki.... Buffo tra l’altro che questa sia anche la versione del Ministero degli Esteri sul sito ufficiale. Ma poi chiedete allo stesso signore quante volte abbia praticato una cerimonia del te o a quanti spettacoli di teatro kabuki abbia assistito. Probabilmente zero. A dire la verità – e tanto per dire una bestemmia – nel Giappone contemporaneo Lady Gaga o l’iPhone sono probabilmente più “cultura” di tutti gli esempi di cultura tradizionale messi insieme.

La scorsa settimana durante un’intervista, Inochi san (un robot designer) mi confessa candidamente che i Giapponesi non vogliono immigrati per evitare "troppi influssi" stranieri. “Noi Giapponesi amiamo la nostra cultura e non vogliamo mischiarci troppo”. Oltre all’onestà, a sorprendere c’è il fatto che apparentemente il Giapponese medio pare avere un’idea ben definita della propria identità culturale. Se mi chiedessero cosa sia cultura italiana...boh, per fare il simpatico mi toccherebbe dire pizza e pasta (se non altro per evitare di dire calcio). Di certo non mi metterei a parlare di Dante o di opera lirica. Il fatto è che ai Giapponesi è stato detto talmente tante volte quanto siano speciali (se non altro nel senso di diversi) che ormai tale consapevolezza ha fatto radici. Narcisismo nazionale: il Giappone ama parlare di sé stesso a sé stesso. Esempio tipico: la lingua giapponese. Unica, incommensurabile, inapprendibile. I Giapponesi credono fermamente (anche se non ve lo diranno mai in faccia) che uno straniero non potrà mai padroneggiare la loro arcana lingua (forse solo qualche Cinese illuminato) in quanto esisterebbe un legame profondo e inscindibile tra l’essenza più profonda della giapponesità e la lingua giapponese. Le stesse strutture grammaticali sarebbero, secondo la storia (una delle teorie più riuscite del nihonjinron), alle radici del pensiero Giapponese.

Cambiando ancora domanda – ovvero tornando alla primissima domanda – come si identificano i Giapponesi? Si potrebbe dire che una persona nata e cresciuta in Giappone (e che dunque ha assimilato lingua e “cultura”) da genitori Giapponesi può essere considerata 100% Jap. Quelli che mancano uno o più dei requisiti saranno visti con crescente sospetto. E per quanto riguarda i tratti culturali specifici? Non esistono un modo di pensare, di comportarsi, di sentire tipicamente giapponesi? Io direi di sì, ma non saprei proprio elencarli.

Concludendo. Nonostante il nazionalismo “stile classico” non sia più un ingrediente indispensabile nella ricetta di governo di stati democratici, il Giappone come paese e potenza economica necessita oggi più che mai una forte immagine culturale. Nel nuovo millennio il Giappone perderà la corsa al PIL contro le grandi potenze economiche emergenti (Cina in primis) e in assenza di un peso militare o politico nell’arena internazionale, la creazione di un soft power basato su una forte identità culturale si rivela in questo senso fondamentale soprattutto sul piano economico. Da sempre le istituzioni dispongono di un potere notevole nel manipolare simboli, saperi e miti. Il Giappone in particolare ha una storia importante a riguardo come dimostrano i numerosi tentativi governativi di creare e manipolare una “cultura nazionale” dall’alto (e.g. creando un modello di famiglia “autentica”, prescrivendo lo shintoismo come religione nazionale autoctona, promuovendo il sumo come sport nazionale, creando il mito dell’imperatore come incarnazione dell’unità nazionale, ecc.). Oggi il Giappone sta puntando parecchio sul “cool Japan”, fashion e anime in prima linea. La giapponesità in senso tradizionale continua a perdere colpi, ma come da sempre avviene in questo paese conservatorismo e innovazione troveranno un modo originale per convivere. Forse, qualunque cosa sia, uno spirito giapponese immortale esiste davvero.